Uscire dal lockdown pattinando nella Divina Commedia

Ci son cose che restano lì, nel cassetto, e quando le riprendi in mano ti sembra che quel tempo di riposto le abbia completamente cambiate ma non nella forma, nel senso. Come parlare di paure, di ignoto, di abbandono, di vulnerabilità, di vita e di morte e di uscita prima che tutto ciò accadesse, e per tutto intendo lui, prima del covid-19. E così, fra ciò che era e ciò che sarà, vi propongo la puntata di #cartolinebyme scritta in gennaio: che sia di buon auspicio per ciò che ci attende domani quando molti di noi potranno ritornare a riuscire a riveder le adorate stelle.

TESTO CARTOLINA:

Caro te,

non è la prima volta che accade, è un evento a cui ho già assistito ma fino ad ora osservandolo dalla riva, con i piedi ben piantati a terra. Quest’anno il freddo e le molte giornate soleggiate hanno permesso alle persone di pattinare sulle superfici ghiacciate dei laghi per diversi giorni. 

All’inizio mi son detta “non accadrà mai”, per passare da un “però… forse” a “ma dai, magari riesco”. Dopo una settimana ero già al “devi” fino a quando un bel mattino ho telefonato a mio padre per comunicargli in tono agguerrito “vado ad affrontare le mie paure”, preparandomi ad espugnare la serenità rinchiusa da troppo tempo oltre quelle rive. E così ho fatto.

Son passati più di 30 anni dall’ultima volta che ho indossato un paio di pattini, ma diciamo che in questo caso i miei timori erano decisamente focalizzati altrove, anche perché la filmografia moderna non è che mi abbia proprio aiutato a instaurare un rapporto di fiducia con il ghiaccio lacustre.

E così, munita di lame ai piedi, ad appena due metri dalla riva mi vedevo già piombare sul fondo come Lester Nygaard nella scena finale di Fargo, mentre nella trasparenza della lastra m’è sembrato di scorgere la faccia di Rasputin ripescato dal fiume Malaja Nevka per non parlare di James Bond, che in Skyfall il ghiaccio addirittura lo ruppe e vi nuotò sotto per scappare dai nemici ma insomma: di agente 007 ce n’è soltanto uno, e non sono io.

Schwarzeis lo chiamano, giaccio nero, a causa della profondità ben visibile che lo sostiene, e del nero ha non solo il colore ma persino la consistenza, quella densa e appiccicosa di cui è composto l’inconscio e in cui possono comodamente annidarsi tutte le più ancestrali paure: da quella dell’ignoto alla fragilità degli istanti, dalla caducità della vita all’inadeguatezza del ruolo, dall’abbandono alla morte. 

E io lì, in mezzo a un lago a cercare di affrontare tutto ciò da sola anche se sola alla fine non lo sono stata mai. Già, perché quando sono finalmente riuscita ad acquisire un po’ di sicurezza e a lasciarmi andare alla meraviglia di fluttuare sulla superficie trasparente poi la sua presenza l’ho sentita davvero. 

Ho iniziato a percepirla nella voce tonante che i movimenti del ghiaccio trasformano in canto, per poi trovarla nella rete di venature che rimandano la luce del sole ad ogni passaggio rendendolo vivo, pulsante ma, soprattutto, è stato quando ho accettato la sua natura composta da solida vulnerabilità che ho potuto iniziare veramente a danzare con lei, con la vita intendo.

È bastato allargare le braccia e in un attimo tutte le paure e le incertezze che mi bloccavano al suolo sono divenute il passaggio verso profondità sempre misteriose ma di natura decisamente più accogliente. E via volare, solcando la superficie ghiacciata dove mi sembrava persino di riuscire ad arrivare a toccare le cime delle montagne che si stagliavano tutt'attorno, e quanta leggerezza, gioia, stupore e ossigeno, di quello buono, di quello capace di fecondare lo spirito.

È proprio vero che a volte per superare i timori occorre smarrirsi, andare oltre i propri limiti per perdersi su oscure acque laddove la retta via diviene spinta, respiro ed esperienza. D‘altronde anche Dante e Virgilio hanno dovuto attraversare la superficie ghiacciata del lago Cocìto prima di sortire dall’inferno e approdare ad una riva che, fosse stata questa quella del lago di St. Moritz, sarebbe stato guardando il cielo riflesso sullo Schwarzeis, che avrebbero potuto riveder le stelle.

Ora ti saluto

Un abbraccio da qui

Giada