Naturogrammi d'alba

Stamane avevo proprio bisogno di quella passeggiata lì. Quella dell’alba. Quella del bosco. Mi mancava ciò che accade. Mi mancava proprio quel legame silenzioso.

Sono tornata in Engadina ieri, e oggi mi sono svegliata come se stesse per arrivare qualcuno che aspettavo da tempo. Ed è stato proprio così. A tornare sono state le parole-mondo, e più nello specifico i naturogrammi, quelli che colgo nella natura.

Appaiono sempre per caso con grande sorpresa e gratitudine. Non li cerco, anche perché se li cercassi non sarebbero naturogrammi ma intenzioni. Quando ho iniziato a raccoglierli mi chiedevo se sarei riuscita ad arrivare a 12, giusto da proporne uno al mese. Ora non so nemmeno quanti ne ho… e non finiscono mai.

Esco e puff: eccone uno. Sono come i funghi dopo la pioggia e la luna giusta. E stamattina ho persino incontrato Herr Peter col suo bastone, il cappello e un cestino di vimini piatto, perfetto per non schiacciare i funghi.

Ma dicevo: i naturogrammi. Sono parole-immagine che non racchiudono ma dischiudono mondi. Creano cerchi come gli anelli sull’acqua quando lanci un sasso in un lago. Solo che il lago sei tu, e gli anelli la quantità di vita che sei, che custodisci e generi nello stare.

Quelli colti stamane sono stati: pioggia-invisibile, albero-altare e giardino-d’ombre. Mi sono girata ed eccoli lì. Li ho colti per condividerli con voi. Se ti va quindi, raccontami cosa evocano in te questi tre naturogrammi. Puoi farlo nei commenti, in privato o via mail.

Essendo mondi aperti c’è spazio per tutti, compreso il tuo.

Lieti momenti

Giada

Nominare il reale

Nel mio lavoro ho imparato che le parole non servono solo a descrivere il mondo. Servono a rispondere a ciò che ci accade. A ciò che ci tocca davvero. A volte, infatti, non siamo noi a cercare le parole. È il mondo che ci vuole parlare, e trova nella nostra voce un varco.

Alcune esperienze chiedono di essere dette. Anche in silenzio. Anche senza spiegare. Le parole che emergono da questi momenti non sono concetti. Sono parole-immagine. Forme che non definiscono, ma tengono insieme. Come un fiore che sboccia solo se osservato senza fretta.

In ogni processo che accompagno — che sia artistico o partecipativo — pratico ciò che chiamo nominazione del reale: un gesto sottile, percettivo, che coglie, distilla e restituisce. Che trasforma ciò che altrimenti svanirebbe in qualcosa che può restare.

Nominare è un modo di abitare il reale con più presenza. Di riconoscere ciò che ci ha toccato, e offrirgli uno spazio condiviso. Questo gesto è diventato per me una grammatica. Un’etica del legame. Una forma possibile di futuro.

Se anche a te è mai accaduto che una parola ti apparisse, che una voce interna ti parlasse in immagini, ti invito a condividerla. Forse cerca un luogo dove restare, insieme.

Scopri di più sull’arte della nominazione cliccando qui.

Grazie per l'attenzione che gli potrai dare.

Lieti momenti

Giada

Il bastimento vivo – Una parola che appare, un modo di abitare il reale

Nel mio lavoro, da tempo esploro un gesto tanto semplice quanto radicale: nominare il reale.

Non si tratta di etichettare, né di descrivere. Ma di accogliere. Di percepire quando qualcosa, nel mondo o dentro di noi, si manifesta emergendo. E quando accade, la risposta arriva sotto forma di parola.

Ma non una parola qualsiasi. Una parola-immagine.

È una parola che non si impone, ma si offre. Come un fiore che sboccia da solo, se trovi il tempo di restare in ascolto. È come una Polaroid che si sviluppa lentamente: l’immagine che compare non è sempre quella che avevi inquadrato ma è quella che riesce, sorprendentemente, a tenere assieme tutto. E tutto quello che avevi osservato, da quel momento, acquisisce un altro senso. Non significato. Senso come direzione.

Le parole-immagini non spiegano. Fanno esistere. Fanno emergere legami, trasformano istanti vissuti in varchi, permettono alla realtà sottile — quella che di solito passa inosservata — di farsi udibile, nominabile, condivisibile.

Un esempio: il bastimento vivo

Qualche giorno fa è apparsa questa parola: bastimento vivo.

Non cercavo un nome. Eppure qualcosa si è messo in moto. Un pensiero, un paesaggio, un sentire profondo e quella parola è arrivata. Chiara, precisa.

Mi parlava di quei momenti in cui qualcosa parte, senza clamore. Di quando senti che sei salita a bordo di un movimento più grande, che non sai dove ti porterà, ma a cui vuoi restare fedele.

Non è un concetto. È un’immagine viva.

Un bastimento vivo: non un mezzo, ma un’intenzione. Un viaggio fatto di legami, voci, stirpi, decisioni sottili.

Ecco cosa intendo quando parlo di nominazione del reale. È un gesto poetico e percettivo. Un modo di abitare il mondo con sguardo aperto.

E, per me, è diventata una vera e propria grammatica del reale: una pratica, un’etica, una forma di relazione.

E tu?

Hai mai sentito una parola apparire dentro di te, come se il mondo stesso volesse essere nominato?

Se ti va, raccontamela. Oppure, prova semplicemente a notare quale parola oggi ti cerca.

Le parole che appaiono non servono a spiegare. Ma a far fiorire quello che riesce a tenerci vivi.

Lieti momenti

GIada

Per saperne di più

Scopri di più sulla grammatica del reale

Oppure scrivimi, se vuoi approfondire insieme questa pratica.

Nominare è creare un legame: con un istante, una voce, il mondo

Nominare il reale non è descrivere ciò che si vede, ma è accorgersi che qualcosa ti ha chiamata. Che una presenza — minuscola, silenziosa, quasi invisibile — ha bussato, chiedendoti di essere accolta nel linguaggio.

Nominare è rispondere a questo richiamo. Non per dare un nome qualunque ma per lasciare che la parola giusta possa apparire. Come un’immagine. Come un fiore che si apre da solo, se sai stare in ascolto. È un’attitudine. Una postura interiore, potrei dire.

Ci sono parole che non si possono inventare, ma ti raggiungono. Come è accaduto con lucciole d’acqua, in un mattino di luce e pioggia intrecciata. O come lampada-bastimento, quando improvvisamente l’atelier si è fatto viaggio, senza sapere dove mi avrebbe portata. O come fiato di confine, quando un respiro è bastato a farmi sentire nettamente il passaggio tra un prima e un dopo.

Queste non sono parole che spiegano: vibrano, fioriscono, si aprono.

Perché ogni parola immagine è un inizio. Non chiude un significato, ma lo spalanca. È il mondo del sottile che si rende visibile, il gesto di nominare come atto di presenza e relazione.

E quando lo si compie, qualcosa cambia. Non solo fuori, ma dentro. Perché dare un nome è un modo di restare. Di riconoscere. Di legarsi a ciò che ci attraversa e ci forma — anche se non lo sappiamo.

Non si nomina il reale per possedere. Si nomina il reale per incontrarlo.

E ogni nominazione è una soglia. Un’apertura che può essere condivisa, abitata, vissuta nel tempo. Una parola che continua a sbocciare. Proprio come un fiore.

Lieti momenti

Giada

Dopo la soglia, la parola

Inizia una nuova fase: l’arte della nominazione del reale

Per mesi ho camminato tra le soglie. Soglie interiori, soglie nei paesaggi, nei luoghi e nei corpi. Le ho ascoltate, attraversate, abitate.

Sono state per me spazi liminari, intensi e fecondi: non luoghi da cui fuggire, ma punti da cui guardare con più attenzione il reale. In quei momenti, qualcosa cambiava: la percezione si affinava, emergevano presenze, intuizioni, gesti quasi impercettibili. E con ogni soglia, arrivava una parola.

Una parola che chiedeva di essere detta. Non per spiegare, ma per riconoscere. Per trattenere ciò che altrimenti sarebbe svanito.

Questa pratica, sottile e potente ho deciso di chiamarla, semplicemente, nominare il reale.

Nominare il reale non significa descrivere ciò che vediamo. Significa entrare in relazione con ciò che ci attraversa e offrirgli dimora in una parola. È un gesto poetico e percettivo, che nasce dall’ascolto e dalla presenza. È come rispondere a qualcosa che ti ha toccato, anche solo per un istante.

Una pigna che cade al momento giusto. Un colpo di vento rivelatore. Un frammento di silenzio che ha sciolto un mistero.

Nominare il reale è un po’ come dire: “Ti ho visto, stai con me”.

Devo dire questa forma di attenzione profonda e condivisa attraversa già da tempo ogni parte del mio lavoro, ma non ero ancora riuscita a dargli un nome. La ritrovo infatti:
• Nel Vocabolario Collettivo della Realtà, dove raccolgo parole donate da persone che raccontano ciò che le attraversa.
• Nei Dipinti Collettivi, dove queste parole diventano immagini, colori e legami visibili.
• Nelle Passeggiate di soglia, dove camminiamo insieme per cogliere gli istanti che meritano di essere salvati.
• Nella scrittura – cartacea e digitale – che raccoglie, intreccia, custodisce.
• E in luoghi come Chesa Altrova, dove la parola diventa spazio abitabile.

Da oggi vorrei quindi iniziare una nuova fase. Una fase in cui la soglia si apre in voce. In cui ogni parola che nasce da un gesto, da un incontro, da un istante vissuto può diventare traccia condivisibile.

È un invito a vivere con più presenza, più delicatezza, più consapevolezza.

Nei prossimi giorni racconterò l’arte della nominazione in tutte le sue forme: esperienziali, poetiche, relazionali. Sarà un viaggio tra parole-mondo, atti minimi e possibilità di restituire senso al nostro stare nel mondo.

Se ti risuona, resta. Potrebbe essere anche la tua voce, questa.

Lieti momenti
Giada