L’ARTE DELLA NOMINAZIONE

Una genealogia della nominazione

Dare un nome non spiega, ma rende abitabile.

Ci sono gesti che precedono la parola. Ma quando la parola arriva, se è viva, se è vera, non descrive: fonda. La nominazione non serve a spiegare il mondo, ma a farlo esistere. È un atto sorgivo, sottile e potente, come un seme che decide di germogliare.

Nell’inizio dei tempi, nominare era creare. Nei miti antichi, il mondo nasce quando qualcuno gli dà un nome. Ogni essere, ogni cosa, esiste davvero solo quando viene chiamata. La parola non segue la realtà: la genera. Questa è la memoria più antica della nominazione, la sua radice sacra.

Poi, la parola è diventata casa. Non solo atto divino, ma gesto umano. Ogni parola accolta è un luogo in cui possiamo abitare. Lo dice la filosofia, lo dicono i poeti: il linguaggio non è un’etichetta, è una dimora. Nominare è aprire una stanza, accendere una luce, dire: “Qui puoi stare”.

Ma prima della parola, c’è sempre il silenzio. Un silenzio pieno, fertile, come quello che precede una nascita. I mistici lo sanno bene: la parola autentica sorge solo da chi ha saputo tacere. Nominare è allora un gesto di ascolto profondo, un modo per accogliere l’invisibile.

E poi, c’è il legame. Perché ogni parola detta, se è offerta, cerca un altro. Nominare è riconoscere, è dire “ti vedo”, e nel dirlo, creare appartenenza. È ciò che tiene insieme una comunità, una storia, un frammento di mondo. Non nominiamo solo per noi: nominiamo per restare connessi.

E infine, c’è il gesto. Il passo che attraversa un paesaggio. La casa che cambia con le stagioni. La mano che scrive un istante su una carta. La voce che chiama ciò che sta per svanire. Nominare, qui, diventa azione. Una forma di cura.

È da questa sorgente che nasce il mio lavoro. Ogni progetto che creo — una camminata, un dipinto, un vocabolario, un istante raccolto, una casa offerta, un libricino da sfogliare — è un atto di nominazione. Un modo per rendere visibile ciò che si stava perdendo. Un invito a condividere lo sguardo. Un gesto che non chiude, ma apre.

Perché nominare il reale significa abitare insieme il mistero che ci attraversa. Con parole lievi. Con presenza. Con ascolto.


Ogni parola detta con ascolto è una soglia che si apre.
Ogni nome accolto è una parte del mondo che ritorna a casa.


Dove nasce, dove vive

Questo atto attraversa tutto il mio lavoro:

  • Nasce e vive nel Vocabolario collettivo, dove le voci delle persone nominano ciò che le attraversa.

  • Si fa gesto nei Dipinti collettivi, dove le parole si trasformano in immagini condivise.

  • Accade durante le Passeggiate di soglia, dove il paesaggio suggerisce parole che altrimenti si perderebbero.

  • Si fa custodia Newsletter, in cui offro parole‑mondo da abitare e riabitare nel tempo.

  • Brilla nella Raccolta degli istanti, in cui ogni gesto diventa frammento biografico, varco, intuizione.

  • Diventa dimora in Chesa Altrova, che è insieme spazio e voce, casa e nominazione.

Ogni parola che emerge da questi gesti non è solo una descrizione. È un varco aperto nella realtà. Un invito a guardare insieme ciò che altrimenti resterebbe invisibile. Un modo per condividere l’abitare.


Cos’è la nominazione del reale

Nominare il reale non significa classificarlo. Significa riconoscerlo.

È un atto sottile e radicale, che nasce da un incontro: tra ciò che accade nel mondo e uno sguardo che sa ascoltare. Un istante, un gesto, un’immagine vissuta si fanno parola. Ma non una parola qualsiasi — una parola che rivela senza ridurre.

Nominare il reale è dare forma a ciò che altrimenti svanirebbe. Non per afferrarlo, ma per lasciarlo risuonare. Non per spiegarlo, ma per renderlo visibile con delicatezza.


Un gesto che trasforma

Ogni città, ogni oggetto, ogni volto può diventare una soglia. Ogni parola, se abitata, può diventare un luogo. Ogni istante, se riconosciuto, può lasciare una traccia.

L’arte della nominazione è un modo di camminare nel mondo in cui l’esperienza non viene consumata, ma accolta. È un gesto che intreccia percezione poetica, biografia, paesaggio e relazione. Non è una tecnica, ma un’attenzione che si fa forma.

Attraverso parole-mondo, camminate consapevoli, vocabolari condivisi e opere collettive, cerco di aprire varchi nella trama del quotidiano — spazi dove l’esperienza si lascia nominare, e quindi trasformare.


Un atto poetico e relazionale

La nominazione è un atto di presenza attiva. Non nasce dalla volontà di dire, ma dal lasciarsi toccare. È ascolto, gesto, attenzione, trasformazione. Accade quando qualcosa ti parla e tu, invece di ignorarla, le rispondi. In quel momento, una goccia diventa lucciola d’acqua, un confine si fa soglia, un attimo sospeso si trasforma in istante altrimenti perduto.

Non è una tecnica da applicare, ma un modo di abitare il mondo con sguardo aperto. Uno strumento di cura e di relazione, capace di riconnettere frammenti, restituire senso, creare appartenenza attraverso ciò che è stato vissuto. È un’arte condivisibile, che chiama al dialogo e può essere praticata anche in forma partecipativa: nei laboratori, nelle passeggiate, nei dipinti, nei vocabolari.


Perché nominare?

Perché ciò che non viene nominato rischia di svanire. Perché dare un nome significa dire: “Questo è accaduto. Questo ha valore.” E perché nel nominare il reale, lo riconosciamo come parte di noi, e ci riconosciamo come parte di ciò che accade.

È nominando che una ferita diventa racconto, un incontro diventa legame, una passeggiata diventa soglia. È nominando che una parola trovata nel vento smette di essere dimenticanza e diventa traccia. È così che una foglia caduta non è più solo un rumore d’autunno, ma l’inizio di un pensiero. Un gesto minimo — un respiro, un tocco, un silenzio — diventa allora parte della nostra storia condivisa. Nominare è trattenere ciò che sfugge, offrire dimora a ciò che merita di restare.


Quando la nominazione nasce dal cammino

Prima ancora di nominare, occorre ascoltare. La nominazione del reale non è un gesto solitario: è il frutto di un’attenzione condivisa, di un passo rallentato, di un incontro con ciò che accade. Le pratiche di soglia sono i gesti che permettono alla realtà di emergere, delicatamente, e di offrirsi al linguaggio. Sono camminate, sguardi, sospensioni, varchi aperti tra il dentro e il fuori. Sono il corpo vivo della nominazione: ciò che prepara e accompagna il dire.


Un invito

Se senti che c’è un modo diverso di attraversare il mondo, se intuisci che ogni esperienza ha una voce da ascoltare, se desideri praticare una forma di presenza che custodisce invece di afferrare... scrivimi.

Nominare insieme è possibile.


Oppure lascia che una parola ti trovi e accompagna la nominazione nel tempo.