Nel mio lavoro ho imparato che le parole non servono solo a descrivere il mondo. Servono a rispondere a ciò che ci accade. A ciò che ci tocca davvero. A volte, infatti, non siamo noi a cercare le parole. È il mondo che ci vuole parlare, e trova nella nostra voce un varco.
Alcune esperienze chiedono di essere dette. Anche in silenzio. Anche senza spiegare. Le parole che emergono da questi momenti non sono concetti. Sono parole-immagine. Forme che non definiscono, ma tengono insieme. Come un fiore che sboccia solo se osservato senza fretta.
In ogni processo che accompagno — che sia artistico o partecipativo — pratico ciò che chiamo nominazione del reale: un gesto sottile, percettivo, che coglie, distilla e restituisce. Che trasforma ciò che altrimenti svanirebbe in qualcosa che può restare.
Nominare è un modo di abitare il reale con più presenza. Di riconoscere ciò che ci ha toccato, e offrirgli uno spazio condiviso. Questo gesto è diventato per me una grammatica. Un’etica del legame. Una forma possibile di futuro.
Se anche a te è mai accaduto che una parola ti apparisse, che una voce interna ti parlasse in immagini, ti invito a condividerla. Forse cerca un luogo dove restare, insieme.
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Grazie per l'attenzione che gli potrai dare.
Lieti momenti
Giada