nominazione del reale

Naturogrammi di realtà - Tombino gentile

Stamane, durante la mia raccolta di istanti quotidiana, mi sono fermata ad ascoltare il rumore della pioggia mentre scivolava nel tombino sotto casa. Oggi pomeriggio, in un momento di pensiero libero, quella stessa immagine è tornata, regalandomi una nuova parola‑immagine: tombino‑gentile.

Ci sono pesi che servono, e altri che no. Stavo cercando un modo per lasciarne andare uno in maniera gentile, e il suono di stamane me l’ha suggerito.

L’acqua che entra nel tombino rimbomba un po’. È come il suono di una campana il cui ciocco è la pioggia. Ma non è un rimbombo che batte di qua e di là: è un suono che gira, che avvolge, simile a quello della ciotola tibetana che portai a casa dal Nepal tanti anni fa.

Tornando al tombino, poi l’acqua al suo interno se ne va. Raggiunge il lago, poi il fiume e poi il mare. E da lì, un giorno, torna in cielo, poi di nuovo acqua, pioggia e nutrimento fertile.

Mi è sembrata una forma gentile a cui affidare il mio peso; provare a lasciarlo diventare prima suono, poi campana, lago, cielo, terra e infine linfa. Cercare insomma di trasformarlo in nutrimento e crescita, anziché questa cosa qui.

Poi ho pensato a quanto sarebbe bello avere tanti tombini‑gentili sparsi ovunque, nelle città, e ci ho fantasticato su un po’.

È anche vero che non basta trovare una nuova parola-immagine per cambiare la forma di una cosa. Ma va detto però che la nominazione del reale serve almeno a questo: a dare la possibilità a un dettaglio del mondo di diventare varco di senso, una soglia a cui attingere per rendere più fertile il nostro mondo interiore anche nei giorni in cui le cose sono “un po’ così”.

Lieti momenti
Giada

Naturogrammi di realtà: tocco di luce

A volte accade che una tristezza profonda, probabilmente antica, riaffiori. Come oggi. E così mi son posta davanti alla finestra e, guardando il mondo, ho chiesto “ok raccontami, ti ascolto”.

Fuori il cielo era ricoperto da nuvole scure, in bilico fra un temporale e l’altro. Ogni tanto qua e là si apriva un varco; a volte minuscolo, a volte grande come un pugno. Il sole vi filtrava e, grazie al vento in altura, si spostava lentamente fra boschi e pendii, come guidato da un pensiero silenzioso, quasi distratto.

Osservare senza aspettarmi nulla, in quell’attenzione pura tanto cara a Hesse, mi ha portato consiglio. Mi ha suggerito una forma, o un modo, o un’attitudine, di come riuscire a creare un varco nei miei di pensieri, anche nei giorni più pesanti.

Messaggio del naturogramma colto oggi: “tocco di luce”

È una luce che non vuole illuminare, ma toccare.

Si posa come una carezza lenta sulle cose. Le sfiora senza reclamarle, permettendo loro di restare in ombra anche quando la luce le rivela.

È una luce matura. Sembra sempre quella prima del tramonto anche al mattino. È una luce presente, saggia, capace di scivolare sulle superfici e arrivare al cuore senza ferire. È una luce vissuta, che sa come fare perché ha attraversato il presente plasmandolo. È la sua sintesi. È l’eredità lasciata prima di sparire per sempre nella notte.

È una luce che accarezza la tristezza non per consolarla, ma per permetterle di essere ciò che racchiude, liberandola col tocco sospeso del rispetto e dell’ascolto gentile.

Il tocco di luce mi ha ricordato che non tutto ciò che illumina deve invadere. Esiste una presenza che sfiora senza prendere, che accarezza senza cancellare l’ombra.

È la stessa attitudine che possiamo offrire a noi stessi e agli altri nella tristezza: non forzare, non spiegare. Solo stare, lasciando che ciò che c’è possa respirare.

Così funziona la nominazione del reale: trasformare un incontro in parola-immagine non per chiuderlo, ma per lasciarlo fiorire nel tempo, in noi e in chi lo incontrerà.

Lieti momenti
Giada

Naturogrammi d'alba

Stamane avevo proprio bisogno di quella passeggiata lì. Quella dell’alba. Quella del bosco. Mi mancava ciò che accade. Mi mancava proprio quel legame silenzioso.

Sono tornata in Engadina ieri, e oggi mi sono svegliata come se stesse per arrivare qualcuno che aspettavo da tempo. Ed è stato proprio così. A tornare sono state le parole-mondo, e più nello specifico i naturogrammi, quelli che colgo nella natura.

Appaiono sempre per caso con grande sorpresa e gratitudine. Non li cerco, anche perché se li cercassi non sarebbero naturogrammi ma intenzioni. Quando ho iniziato a raccoglierli mi chiedevo se sarei riuscita ad arrivare a 12, giusto da proporne uno al mese. Ora non so nemmeno quanti ne ho… e non finiscono mai.

Esco e puff: eccone uno. Sono come i funghi dopo la pioggia e la luna giusta. E stamattina ho persino incontrato Herr Peter col suo bastone, il cappello e un cestino di vimini piatto, perfetto per non schiacciare i funghi.

Ma dicevo: i naturogrammi. Sono parole-immagine che non racchiudono ma dischiudono mondi. Creano cerchi come gli anelli sull’acqua quando lanci un sasso in un lago. Solo che il lago sei tu, e gli anelli la quantità di vita che sei, che custodisci e generi nello stare.

Quelli colti stamane sono stati: pioggia-invisibile, albero-altare e giardino-d’ombre. Mi sono girata ed eccoli lì. Li ho colti per condividerli con voi. Se ti va quindi, raccontami cosa evocano in te questi tre naturogrammi. Puoi farlo nei commenti, in privato o via mail.

Essendo mondi aperti c’è spazio per tutti, compreso il tuo.

Lieti momenti

Giada

Nominare il reale

Nel mio lavoro ho imparato che le parole non servono solo a descrivere il mondo. Servono a rispondere a ciò che ci accade. A ciò che ci tocca davvero. A volte, infatti, non siamo noi a cercare le parole. È il mondo che ci vuole parlare, e trova nella nostra voce un varco.

Alcune esperienze chiedono di essere dette. Anche in silenzio. Anche senza spiegare. Le parole che emergono da questi momenti non sono concetti. Sono parole-immagine. Forme che non definiscono, ma tengono insieme. Come un fiore che sboccia solo se osservato senza fretta.

In ogni processo che accompagno — che sia artistico o partecipativo — pratico ciò che chiamo nominazione del reale: un gesto sottile, percettivo, che coglie, distilla e restituisce. Che trasforma ciò che altrimenti svanirebbe in qualcosa che può restare.

Nominare è un modo di abitare il reale con più presenza. Di riconoscere ciò che ci ha toccato, e offrirgli uno spazio condiviso. Questo gesto è diventato per me una grammatica. Un’etica del legame. Una forma possibile di futuro.

Se anche a te è mai accaduto che una parola ti apparisse, che una voce interna ti parlasse in immagini, ti invito a condividerla. Forse cerca un luogo dove restare, insieme.

Scopri di più sull’arte della nominazione cliccando qui.

Grazie per l'attenzione che gli potrai dare.

Lieti momenti

Giada

Il bastimento vivo – Una parola che appare, un modo di abitare il reale

Nel mio lavoro, da tempo esploro un gesto tanto semplice quanto radicale: nominare il reale.

Non si tratta di etichettare, né di descrivere. Ma di accogliere. Di percepire quando qualcosa, nel mondo o dentro di noi, si manifesta emergendo. E quando accade, la risposta arriva sotto forma di parola.

Ma non una parola qualsiasi. Una parola-immagine.

È una parola che non si impone, ma si offre. Come un fiore che sboccia da solo, se trovi il tempo di restare in ascolto. È come una Polaroid che si sviluppa lentamente: l’immagine che compare non è sempre quella che avevi inquadrato ma è quella che riesce, sorprendentemente, a tenere assieme tutto. E tutto quello che avevi osservato, da quel momento, acquisisce un altro senso. Non significato. Senso come direzione.

Le parole-immagini non spiegano. Fanno esistere. Fanno emergere legami, trasformano istanti vissuti in varchi, permettono alla realtà sottile — quella che di solito passa inosservata — di farsi udibile, nominabile, condivisibile.

Un esempio: il bastimento vivo

Qualche giorno fa è apparsa questa parola: bastimento vivo.

Non cercavo un nome. Eppure qualcosa si è messo in moto. Un pensiero, un paesaggio, un sentire profondo e quella parola è arrivata. Chiara, precisa.

Mi parlava di quei momenti in cui qualcosa parte, senza clamore. Di quando senti che sei salita a bordo di un movimento più grande, che non sai dove ti porterà, ma a cui vuoi restare fedele.

Non è un concetto. È un’immagine viva.

Un bastimento vivo: non un mezzo, ma un’intenzione. Un viaggio fatto di legami, voci, stirpi, decisioni sottili.

Ecco cosa intendo quando parlo di nominazione del reale. È un gesto poetico e percettivo. Un modo di abitare il mondo con sguardo aperto.

E, per me, è diventata una vera e propria grammatica del reale: una pratica, un’etica, una forma di relazione.

E tu?

Hai mai sentito una parola apparire dentro di te, come se il mondo stesso volesse essere nominato?

Se ti va, raccontamela. Oppure, prova semplicemente a notare quale parola oggi ti cerca.

Le parole che appaiono non servono a spiegare. Ma a far fiorire quello che riesce a tenerci vivi.

Lieti momenti

GIada

Per saperne di più

Scopri di più sulla grammatica del reale

Oppure scrivimi, se vuoi approfondire insieme questa pratica.