Naturogrammi di realtà - Tombino gentile

Stamane, durante la mia raccolta di istanti quotidiana, mi sono fermata ad ascoltare il rumore della pioggia mentre scivolava nel tombino sotto casa. Oggi pomeriggio, in un momento di pensiero libero, quella stessa immagine è tornata, regalandomi una nuova parola‑immagine: tombino‑gentile.

Ci sono pesi che servono, e altri che no. Stavo cercando un modo per lasciarne andare uno in maniera gentile, e il suono di stamane me l’ha suggerito.

L’acqua che entra nel tombino rimbomba un po’. È come il suono di una campana il cui ciocco è la pioggia. Ma non è un rimbombo che batte di qua e di là: è un suono che gira, che avvolge, simile a quello della ciotola tibetana che portai a casa dal Nepal tanti anni fa.

Tornando al tombino, poi l’acqua al suo interno se ne va. Raggiunge il lago, poi il fiume e poi il mare. E da lì, un giorno, torna in cielo, poi di nuovo acqua, pioggia e nutrimento fertile.

Mi è sembrata una forma gentile a cui affidare il mio peso; provare a lasciarlo diventare prima suono, poi campana, lago, cielo, terra e infine linfa. Cercare insomma di trasformarlo in nutrimento e crescita, anziché questa cosa qui.

Poi ho pensato a quanto sarebbe bello avere tanti tombini‑gentili sparsi ovunque, nelle città, e ci ho fantasticato su un po’.

È anche vero che non basta trovare una nuova parola-immagine per cambiare la forma di una cosa. Ma va detto però che la nominazione del reale serve almeno a questo: a dare la possibilità a un dettaglio del mondo di diventare varco di senso, una soglia a cui attingere per rendere più fertile il nostro mondo interiore anche nei giorni in cui le cose sono “un po’ così”.

Lieti momenti
Giada