Milletrentatre

E ecco, o meglio, e eccomi, di nuovo. Stamane sono partita sull’onda del cip cip e universo e connessione e meraviglia e splendore e ma che bella la vita ed effettivamente, dopo appena dieci minuti, di cose speciali ne erano già successe mille: gocce come nella notte di San Lorenzo, salti di pesci come in Free Willy, personaggi fiabeschi come in Tim Burton, rondini come a San Francesco, personaggi veri come in Fellini, pioggia e sole e sole e pioggia come quando il diavolo sta facendo l’amore. Poi siamo arrivati al Lej da Staz: Artù si è fiondato nell’acqua alla ricerca di pesci e io mi sono sdraiata sul pontile alla ricerca e basta.

Qui, dopo appena quindici minuti di nulla, l’ho sentito arrivare: cosa speciale milleuno. Si trattava della figurina numero diciotto del mio personalissimo album dell’umanità: Lo Sportivo con la esse maiuscola. Passo leggero, perfettamente simmetrico, di quelli che consumano esattamente la stessa zona della scarpa sia del piede destro che sinistro. Coordinazione del movimento/respiro/battito cardiaco in perfetto rapporto aureo. Abbigliamento super tecnologico che nemmeno Samantha Cristoforetti ma in questo caso ci sta, se non altro li usa, e non per andare al bar. Arriva, si ferma, “bib” sull’orologio da polso (o facente funzione), braccia alzate per respirare e via con mezz’ora di stretching ed esercizi degni del più moderno Gioca Jouer, al termine dei quali si spoglia e ed entra in acqua. Fisico perfetto, nulla da dire, di quelli che anche a cercare bene non ci trovi più nemmeno il ricordo di una raclette o di un profiteroles, per non parlare di quegli aperitivi che vanno a finire in ciocca allegra: tutta roba debellata da tempo. È stato solo quando si è immerso però che ho avuto la prova fosse effettivamente un essere umano, in quanto gli è sfuggito all’autocontrollo un leggero “aargh” ma insomma, otto gradi fuori, vento, pioggerella e quindici gradi nell’acqua avrebbero piegato qualsiasi Robocop. Si è fatto la quantità di bracciate preventivamente calcolate e inserite nel programma e poi, una volta uscito, si è asciugato con un pezzetto di roba blu grande al massimo venti centimetri per lato, che gli è bastato appoggiare sulla tartaruga per ritrovarsi risucchiata in un nanosecondo anche l’acqua che aveva depositata in mezzo alle dita dei piedi. Incredibile. Poi si è rivestito, due o tre esercizietti di routine e “bib”, il meccanismo da polso è ripartito e con esso anche il suo passo di corsa. Chissà se si è accorto dell’attorno ma in fin dei conti, alla figurina numero diciotto, dell’attorno non gliene deve fregare un fico secco di nulla, altrimenti mi si banalizzerebbe il cliché Emoticon wink.

Bene, ora tocca a noi. “Dai Artù andiamo, che comincio ad avere freddo”. Nulla. Faccia rivolta sul fondo del lago a cercare i pesci. “Artù, sei già dentro da mezz’ora, andiamo”. Nulla punto zero. “Ffffffffffffffff”, il rumore del sacchettino con dentro i pezzi di wienerli ha scaturito lo stesso effetto che avrebbe su un cane vegano: indifferenza totale. “Ok io vado”, e vado davvero. Quando ormai non lo vedo più perché il lago è terminato e sono passati più di dieci minuti decido di tornare indietro. Ebbene, la paura di rimanere solo, dell’abbandono o quelle cose che ti insegnano durante i corsi di obbedienza sono tutte balle: lui era ancora lì pacifico a giocare coi suoi pescetti. “Artù porca miseria, è passata un’ora, andiamo!”. Aria. E adesso che faccio? L’unica cosa possibile mannaggia a te: mi sono spogliata e sono entrata nell’acqua. Lo ammetto, in quel momento ho usato un linguaggio un po’ colorito ma gente, con la pelle d’oca che m’è venuta potevo farmi lo chignon! Artù poi deve aver pensato volessi giocare e mi si è fiondato addosso a balzi e tuffi: linguaggio coloratissimissimo ma se non altro sono riuscita ad afferrarlo. Ok, usciamo, ed ora? Ho provato ad asciugarmi con la giacca in Goretex ma ha fatto l’effetto della tenda da doccia gelata quando ti si appiccica addosso: ho optato quindi per le calze, tanto i piedi non li sentivo più. Mi rivesto e via, intirizzita e divertita e con ancora un cane al seguito, anche se solo perché abbrancato e legato.

Dopo cinque minuti di cammino poi è avvenuta la cosa speciale numero milletrenta: mi si è aperta la terza corsia e improvvisamente un flusso di sangue ringalluzzito si è fiondato su e giù per il corpo in una corsa mozzafiato degna del prossimo Fast & Furious, dove globuli rosso Ferrari e bianchi Space Shuttle si sono portati via spiaccicati sui parabrezza anni di tossine, colesterolo, acido urico e quelle cose che a volte uno ha e non si capisce il perché (…). 
Ora però che siamo a casa un bel bagno caldo non me lo leva nessuno: e fanno milletrentuno, e metto pure su un po’ di musica jazz, e milletrentadue, e magari mi ci porto pure un bel bicchiere di vino, e milletrentatre…