#UNIVERSUS - Voci, testi e immagini abbinate alla Clip 1

Ascolta una parte delle voci che hanno dato vita a #UNIVERSUS, la people-maps nata dall’ascolto dei luoghi del cuore raccontati dalla gente. Ogni voce ha generato un tratto/composizione/colore nel dipinto, divenendo spazio fisico, luogo da incontrare, conoscere, esplorare e da cui lasciarsi, di conseguenza, scoprire.

Questa è la clip 1 di 4. L’audio è accompagnato dalla trascrizione integrale della testimonianza, a cui ho abbinato immagini della mia regione (l’Engadina) scelte ascoltando quanto ricevuto, a dimostrazione che la condivisione non solo è in grado di avvicinare ma anche di ampliare, conquistare e dilagare arricchendo il territorio dell’esperienza altrui.

Buon ascolto:

TRASCRIZIONI

È di ogni autore la scelta di apparire in forma anonima o firmata.

Anonimo: “Il mio posto preferito si trova in riva al fiume, a Tenero, dove si sente proprio il rumore dell’acqua, e nient’altro. È un luogo in cui vado spesso anche d’inverno; mi butto nell’acqua e dimentico tutto il resto”.

Simona Settembre: “C’era questo albero sul quale io, da maggio a settembre, passavo almeno 2 ore al giorno con picchi di 4/5 quando c’erano le ciliegie, e ci portavo sopra le peggior cose: radio, coperta, ciotola, un cuscino e un album da disegno; lì ho imparato a disegnare le foglie. L’ho sempre fatto, dai miei 7 anni fino a quando son partita dal paese, a 17. 

Ci son tornata l’estate scorsa dopo 15 anni, a questo albero che stava in mezzo ai campi, e ci sono salita. La cosa strana è che quando ero piccola nessuno mi notava, e di lì passavano tantissimi contadini, era un via vai di biciclette, di carretti , di asinelli e muli, ma questa volta il primo contadino in bicicletta che è passato mia ha notata, e la cosa mi ha fatto un effetto strano, come essere diventati visibili nell’invisibile che è stato abbandonato negli anni.

Questo è il mio luogo più caro. Probabilmente non lo rivedrò mai più come prima, ma l’albero continua a regalarmi la sua grandezza: sembra non crescere, non perde rami, è sempre uguale eppure tutto è totalmente diverso”.


Salvatore Berlingieri: “Contemplava il tramonto con tutti i suoi colori, e nel cogliere il fatidico raggio verde, nell’attimo fuggente in cui si assiste al ritorno del sole che sembra calarsi nelle profondità marine, si ripeteva quella scena rigeneratrice dove i pensieri più romantici sono rivolti con particolare intensità alle persone più care, alle persone amate. Contemplava tutto ciò e, questa volta, prometteva a sé stessa che quell’ultimo bagliore di sole non sarebbe stato uno dei tanti altri. Quell’ultimo bagliore di sole era un arrivederci, Calabria”.

Anonima: “C’è un luogo incantato, a cavallo tra le province di Grosseto e Siena. Non è la montagna alpina legata alla mia storia personale, non ci sono i profumi che rimandano al mio concetto di montagna, ma è un posto che ho imparato a conoscere e ad apprezzare. Si tratta del monte Amiata, un angolo di mondo dove di tanto in tanto devo rifugiarmi.

Mi sorprende sempre come percorrendo pochissimi chilometri l’ambiente cambi radicalmente. Parto dal mare, dove lascio una temperatura mite, e attraverso la campagna toscana arrivo alle pendici dell’Amiata. Da lì inizio un percorso tutto in salita, che attraverso una strada tortuosa mi porta fino alla vetta. Tutto il percorso è circondato da meravigliosi boschi di faggi, una foresta incantata ricchissima di suggestioni e di silenzi. Sembra di entrare in una favola di elfi e troll. La bellezza delle foglie di faggio in autunno lascia senza fiato, e a terra si crea un fitto tappeto color rame e oro. 

Poi in inverno tutto si copre magicamente di bianco. La neve di questi giorni è abbondante e copre tutta la lunghezza dei rami, creando splendidi intrecci bianchi. Spesso la cima della montagna è circondata da una fitta nebbia, che crea un’atmosfera quasi mistica. Mi piace arrivare a piedi fino alla monumentale croce di ferro battuto che si erge sulla vetta. Anche questa è completamente imbiancata. Le fitte trame, ora, sono ricoperte da cristalli di ghiaccio. Purtroppo l’inverno sull’Amiata dura poco; presto tornerà la primavera, e con lei sarà nuovamente un tripudio di colori”.

Anonimo: “Quale luogo è migliore di quello che ti ha fatto crescere, di quello che ti ha preso adolescente e portato adulto? Questo è ciò che ha fatto la curva, anche se in realtà è un incrocio di 4 vie al centro del paese, dove tutti prima o poi devono passare. La curva è il luogo in cui sono nate le amicizie, quelle vere, quelle per cui basta alzare il telefono e ci sono, che anche se le hai perse sai che non svaniranno mai.

La curva è anche stato il luogo dei primi amori, delle cotte adolescenziali, dove inseguivi le ragazze con il motorino per riuscire a dirgli ciao o “dai fermatevi che facciamo quattro chiacchiere”. La curva era anche un luogo senza frontiere. Nel nord Italia degli anni ’80 c’era razzismo verso la gente del sud, mentre alla curva potevano fermarsi tutti. Ho ricordi di ragazzi appena arrivati che lì hanno trovato amici, persone che gli dicevano “benvenuto” e non “terrone” o anche peggio, come si sentiva a quei tempi. La curva è stato un luogo di ritrovo fisso, dove si riusciva ad andare tutti d’accordo”.

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Iris Stalder: “Il mio luogo preferito è una casa di vacanza direttamente sul lago di Costanza, il lago più bello d’Europa, almeno per me. Non potevo fare a meno di osservare in continuazione i mutamenti dell’umore del lago. Mattine dove lo specchio d’acqua era liscio con le onde appena percepibili e che all’alba annunciavano una splendida giornata. 

Non meno affascinanti erano però le onde imprevedibili che trasformavano l’acqua quieta in tempesta in un batter d’occhio. Onde minacciose con coroncine di schiuma bianca, e il cielo in mille sfumature di grigio.

Ma ciò che ho scolpito nella mente e nel cuore è una maestosa quercia di 200 anni almeno. Due rami giganti affrancati nella terra da sempre, dove io potevo sedermi come in una culla e lasciare libero sfogo ai miei pensieri, ai sogni, alle malinconie e perché no alle lacrime, e sono sicura che nascosti fra il folto fogliame qualche fata e folletto erano lì ad ascoltarmi”.

Mauro di Ge: “Vorrei raccontare il bosco dove porto il cane. Ormai è diventato un rito: la mattina presto lo porto a fare una passeggiata perché poi lo devo lasciare quasi tutto il giorno da solo, e anche se abbiamo il giardino mi piace stare un po’ con lui. Il tratto di sentiero vicino alla casa è uno spazio aperto, con sulla sinistra un muro a secco e sulla destra un prato dove a volte ci sono un poni e alcune pecore che dormono ancora, e da vedere sono veramente buffe; con la lana lunga sembrano dei pouf appoggiati in mezzo al verde. 

Poi si arriva al bosco che a quell’ora è molto scuro e non si vede quasi niente, eppure non fa paura malgrado da bambino del buio ne avessi. Una volta dentro gli occhi si abituano e inizi a vedere un po’ di ombre. Il sottobosco è ampio, pieno di foglie, e dalla campana di rami sopra la testa inizia a filtrare un po’ di luce nelle sfumature di grigio, a volte blu, altre un marrone molto slavato.

È un pezzo di bosco abbastanza lungo dove si sentono i rumori della natura che si sveglia. Poi si sbuca in un tratto aperto da dove, fra gli alberi, vedi il monte di fronte che fa una sella proprio nel punto da cui dovrebbe arrivare l’alba; in queste mattine ci sono varie sfumature di blu, da quello chiaro all’intenso notte, con ancora delle stelle bianchissime nel mezzo. Spesso guardando questa luce faccio qualche riflessione, magari scatto anche una foto e scrivo la pensata del giorno. Questo è un po’ il mio luogo non luogo, il posto dello spirito, dove mi ritrovo; è un luogo vero”.

Ed ora uno sguardo sul dipinto generato dai racconti: