Un abbraccio galattico per #faigirarelacultura

Abbraccio galattico.L’abbraccio è un gesto. Punto. Andare oltre nella spiegazione significherebbe ridurne il valore oppure iniziare a scrivere oggi e finire il giorno in cui si esala l’ultimo respiro, e non basterebbe comunque. Poi dai ammettiamolo, non ci sono proprio gli attrezzi idonei per parlarne; intendo le parole stesse. Mancano. Non esistono. Si dovrebbe inventarle. È che a crearne di nuove servirebbe un’altra vita intera per esporne il concetto, da inserire in seguito nell’enciclopedia dell’abbraccio che wikipedia in confronto sarebbe un nulla. Ma poi, voi lo sapreste spiegare un abbraccio? Ma quale? Ne esistono più di mille miliardi di tipi differenti!

C’è quello da che bello rivederti vieni qui che recupero le informazioni via bluetooth heart to heart, quello da adesso ti entro dentro e mi ci piazzo lì come se tu fossi un sacco a pelo, poi quello dell’adesso il sacco a pelo lo faccio io e mi ti ci chiudo attorno con la zip, quello da stammi lontano ma per educazione non posso dunque ti abbraccio ma poco pochissimo. Poi c’è quello dell’abitudine, dell’oddio oddio che ansia, quello del non ti preoccupare che il mio è un abbraccio che dona poteri da supereroi, quello mai dato, quello che non si riesce a dare e quello che vorresti ma non puoi chiedere. Poi ci sono quelli che ti danno energia e quelli che te ne tolgono, quelli che depurano e quelli che inquinano, quelli che ringiovaniscono e quelli che ti sembra di invecchiare vent’anni. Alcuni inoltre profumano di pino, altri di nebbia, di sole o di fatica; una volta ne ho sentito addirittura uno che sapeva di mela, polvere da sparo e film al rallentatore: una miscela che non vi dico!

Visto? Più vado avanti più capisco quanti ne tralascerò; l’abbraccio mi si sta moltiplicando in mano come le scope dell’apprendista stregone: ne cito uno e ne vengono fuori mille. Eppure uno che spicca su tutti c’è. Ero in una di quelle giornate di super gioia fino a quando un irrisolto ha deciso di staccarsi improvvisamente dalle tubature e salire in superficie generando un crollo. Ma non di quei crolli da lacrimuccia e basta, no, roba da singhiozzi che sconquassano e mamma mia quanto fa male a volte disincrostarsi da pezzi di vita. E va be’: prendo il cane, mi vesto da pioggia, cappellone a falde larghe e via, che tanto non vede nessuno. Tre ore in giro sotto una pioggia incessante complice e discreta, fino a quando ho incrociato lo sguardo di una Signora che tornava dalla spesa. Quattro secondi, non di più, ma in quei quattro secondi mi è arrivato uno degli abbracci più potenti che abbia mai ricevuto. E non era una cosa da dai che poi passa, ma si che ce la fai, ti capisco, o poverina chissà cos’ha, non preoccuparti o se hai bisogno io ci sono, no, era il big bang degli abbracci, uno scoppio di luce da cui poi è stato generato l’universo intero degli abbracci con tutti i suoi relativi pianeti, stelle, forme di vita eccetera, e una cosa immediata poi, mica come quello là che ci ha messo sette giorni e alla fine era pure stanco e ha dovuto prendersi un giorno di riposo. Pensate che dopo tutta quella creazione ha persino cessato di piovere, sono apparse le primule anche se era settembre e un coro di lucciole mi ha accompagnata a casa: insomma, cose che nel mondo degli abbracci accadono tutti i giorni, peccato solo che a volte sia un pianeta così lontano…

Pubblicato su Timmagazine