LA PAROLA: PER DARE FORMA AL REALE
Siamo nel cuore del cammino. Dopo aver attraversato soglie, soste e dimore, questo mese entriamo in ciò che permette a ogni esperienza di restare: la parola. Non come concetto da comprendere, ma come gesto che prende forma nell’incontro e rende il reale abitabile.
Nell’Arte del Sogliare, la parola arriva dopo l’ascolto. Nasce dall’esperienza, dal corpo, dalla relazione con luoghi e presenze. È un atto di nominazione che non chiude il senso, ma lo custodisce; una forma che rende visibile senza imprigionare, lasciando che la luce attraversi ciò che è apparso.
In questo numero esploreremo la parola come soglia viva: nel modo in cui apre spazio, accorda il tempo, diventa gesto, risuona nel corpo ed entra nella quotidianità. Un cammino fatto di istanti, immagini, pratiche e voci condivise, in cui la parola non spiega il mondo, ma impara a restargli accanto.
Lieta lettura.
Giada
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La foto che ho scelto per rappresentare la parola - Ho scelto questa immagine perché, per me, la parola somiglia a questo stelo fissato nel ghiaccio. La spiga è l’intenzione: sottile, verticale ed essenziale. Il ghiaccio che la avvolge è la forma che la parola dà alla realtà: volume, concretezza, presenza. Attraverso il gelo, ciò che era fragile diventa tangibile.
La parola, come il ghiaccio, fissa ciò che accade. Ma non per imprigionarlo: per renderlo visibile. La sua forza sta nella trasparenza. Se resta attraversabile dalla luce, allora illumina. Se si opacizza, smette di far vedere. In mezzo c’è l’intenzione. È ciò che resta anche quando le parole mancano, quando la voce non arriva più. Anche l’afasia abita questa immagine: la parola muta conserva un nucleo intatto, percepibile come si percepisce il cuore di una forma nel ghiaccio. Si può ancora toccare, intuire e sentire.
Così la parola, nell’Arte del Sogliare, non è mai solo suono o significato. È un gesto che dà forma al reale per permettergli di brillare.
Perché dopo la soglia, il centro, il vuoto, il tempo, la casa e l’altro, arriva la parola
Questo cammino mensile nasce come un attraversamento del reale attraverso alcune parole-luogo. Abbiamo varcato una soglia, cercato un centro, sostato nel vuoto, ascoltato il tempo e trovato casa. Con l’altro, il percorso si è aperto all’incontro e alla relazione. È solo dopo questo passaggio che può arrivare la parola.
Nel cammino dell’Arte del Sogliare, la parola non è solo ciò che segue l’esperienza, ma il gesto che la rende condivisibile e abitabile: nominare è prendersi cura di ciò che è apparso. Arriva dopo l’ascolto, quando l’esperienza ha toccato il corpo e il reale, in sé e nell’altro, e può essere nominata senza essere ridotta. È una parola che nasce da una relazione: con un luogo, con un istante o con una presenza.
Qui la parola non serve a spiegare il mondo, ma a restituirlo. Prende forma attraverso gesti concreti. È una parola che apre uno spazio di risonanza condivisa. In pratica, se finora abbiamo imparato a stare ora impariamo a dire. Dire dopo aver incontrato.
Le cinque dimensioni del legame –
La parola nell’Arte del Sogliare
Nell’Arte del Sogliare, la parola non è mai astratta. Non vive separata dall’esperienza, ma la attraversa e la accompagna. Ogni parola che nasce da questo cammino prende forma dentro una relazione e si muove attraverso le cinque dimensioni del legame: spazio, tempo, gesto, corpo e quotidianità.
Queste dimensioni non sono categorie da analizzare, ma luoghi sensibili in cui la parola accade. È nello spazio che la parola apre un luogo condivisibile; nel tempo che trova il suo momento giusto; nel gesto che diventa atto; nel corpo che vibra e risuona; nella quotidianità che la custodisce e la rimette in circolo.
Nominare, qui, non significa spiegare, ma tenere aperto. Ogni parola, attraversando queste dimensioni, diventa una soglia abitabile: un modo per restare in relazione con ciò che è apparso, senza possederlo. Ecco come, nell’esperienza concreta dell’Arte del Sogliare, la parola prende corpo e diventa legame.
1. La parola nello spazio: nominare un luogo
Ogni parola accade in uno spazio, e ogni spazio risponde alla parola che lo attraversa. Nell’Arte del Sogliare, dire non è mai un gesto neutro: una parola può aprire un luogo oppure richiuderlo, può rendere abitabile una distanza o trasformarla in confine. Quando nominiamo qualcosa, lo facciamo entrare nella nostra orbita: lo rendiamo presente, condivisibile, situato.
La parola, nello spazio, è ciò che trasforma un ambiente in luogo. Come una soglia invisibile, modifica la qualità del campo in cui viene pronunciata. Una parola detta con attenzione può creare prossimità anche tra corpi lontani; una parola detta senza ascolto può rendere estraneo persino ciò che è vicino. Nominare è un gesto che dispone lo spazio: decide se ciò che appare potrà restare o se verrà respinto.
Come accade quando qualcuno dà un nome a un paesaggio interiore: improvvisamente quel luogo smette di essere indistinto e diventa riconoscibile, attraversabile. Ma accade anche il contrario: parole che etichettano, che occupano, che saturano lo spazio, lasciando poco respiro a chi ascolta. In questi casi lo spazio si irrigidisce, perde porosità, non risponde più. La parola, allora, non fa luogo: lo chiude.
Nell’esperienza concreta, la parola nello spazio si riconosce da questo: se dopo essere stata pronunciata c’è più aria o meno. Se apre un campo di presenza o se lo restringe. Se permette all’altro — umano o non umano — di abitare lo spazio con noi o se lo costringe a uscirne. Anche questo è legame: uno spazio che si apre o si contrae a seconda della qualità della parola che lo attraversa.
2. La parola nel tempo: il momento giusto
Ogni parola ha un tempo. Non solo un significato, ma un momento in cui può essere detta senza forzare ciò che sta accadendo. Nell’Arte del Sogliare, la parola non segue il ritmo dell’urgenza, ma quello dell’ascolto. Arriva quando qualcosa è maturo per essere nominato, e tace quando il tempo non è ancora pronto.
Una parola detta nel tempo giusto può rallentare ciò che corre, o dare forma a ciò che è rimasto sospeso. Può accompagnare un passaggio, segnare una soglia, custodire un’attesa. La parola, nel tempo, non accelera né trattiene: accorda. Si inserisce come una nota che rispetta il ritmo della situazione, senza interromperlo.
Ma esiste anche una parola fuori tempo. Parole anticipate, che arrivano prima che l’esperienza abbia preso corpo, o parole tardive, che giungono quando il momento è già passato. In questi casi la parola non accompagna il tempo: lo disturba. Può creare fretta, pressione, oppure un senso di vuoto, come se qualcosa fosse stato detto troppo presto o troppo tardi per poter essere accolto.
Lo si riconosce nell’esperienza quotidiana: una parola di conforto detta quando l’altro non è ancora pronto ad ascoltarla, o una parola di verità pronunciata quando il legame è già scivolato altrove. Al contrario, basta a volte una parola semplice, detta al momento giusto, per dare continuità a un processo, per permettere a qualcosa di durare.
Nel legame, la parola nel tempo è questo: la capacità di sentire quando dire. È un ascolto del ritmo dell’altro e della situazione. Quando la parola rispetta il tempo, non chiude il passaggio: lo accompagna.
3. La parola come gesto: dire è fare
Nell’Arte del Sogliare, la parola non è separata dall’azione. Ogni parola è un gesto: muove qualcosa, orienta, avvicina o allontana. Dire non è mai neutro, perché una parola modifica il campo della relazione tanto quanto un movimento del corpo.
La parola-gesto è quella che si assume una responsabilità. Non si limita a descrivere ciò che accade, ma interviene con misura, come una mano che si tende o si ritrae al momento giusto. Può essere un invito, una promessa, un limite pronunciato con chiarezza. In questi casi, la parola non resta sospesa: produce un effetto reale, crea una direzione.
Esiste però anche una parola che non si fa gesto. Parole dette per riempire, per difendersi, per prendere spazio senza offrirlo. Parole che sembrano azione ma restano vuote, perché non sono sostenute da un’intenzione incarnata. In questi casi il gesto manca: la parola scivola, non trova appoggio, non costruisce legame.
Lo si vede nei momenti quotidiani: una parola di scuse che non cambia postura, una promessa non accompagnata da un atto, un “ti ascolto” detto senza fermarsi davvero. Al contrario, una parola semplice, detta con presenza, può valere più di molte azioni. Perché il gesto, nell’Arte del Sogliare, non è grandezza ma coerenza.
La parola come gesto è questo: dire solo ciò che si è disposti a sostenere. È una parola che cammina, che prende forma nel fare, che lascia una traccia. Quando parola e gesto coincidono, il legame diventa affidabile.
4. La parola nel corpo: ciò che vibra
Ogni parola attraversa un corpo prima di essere compresa. Nell’Arte del Sogliare, la parola non vive solo nel significato, ma nella sensazione che lascia: una tensione che si scioglie, un respiro che si accorcia, una presenza che si espande o si ritrae. Il corpo è il primo luogo in cui la parola risuona.
Quando una parola è in ascolto, il corpo la riconosce. Può dare sollievo, creare calore, rendere più stabile una postura. In questi casi, la parola non resta mentale: diventa esperienza somatica, si deposita come un segnale affidabile. Il corpo sente che può fidarsi, che ciò che viene detto è allineato con ciò che accade.
Esistono però parole che il corpo respinge. Parole che irrigidiscono, che accelerano il battito, che chiudono il respiro. Anche se il contenuto sembra corretto, qualcosa non torna: il corpo avverte una dissonanza. È il segnale che la parola non è ancora passata dall’esperienza, o che è stata pronunciata senza presenza.
Lo incontriamo spesso nella vita quotidiana: frasi “giuste” che non arrivano, parole rassicuranti che aumentano l’ansia, spiegazioni che stancano invece di chiarire. Al contrario, una parola detta con verità può essere minima, quasi impercettibile, eppure produrre un rilassamento profondo. Il corpo sa distinguere.
Nel legame, la parola nel corpo è una parola che si lascia sentire. Non chiede di essere capita subito, ma di essere attraversata. Quando la parola risuona nel corpo, diventa memoria viva: qualcosa che resta perché è stata vissuta.
5. La parola nella quotidianità: ciò che resta
Nell’Arte del Sogliare, una parola trova il suo compimento quando riesce a entrare nella vita di tutti i giorni. Non quando è brillante o intensa, ma quando continua ad accompagnare i gesti ordinari: una camminata, una cucina da riordinare, un messaggio scritto senza fretta. La quotidianità è il luogo in cui la parola viene messa alla prova.
Una parola che appartiene alla quotidianità non chiede di essere ricordata ma praticata. Si ripresenta nei piccoli atti, orienta le scelte, modifica impercettibilmente il modo di stare al mondo. In questo senso, la parola diventa compagnia: non qualcosa da evocare, ma una presenza che lavora in silenzio.
Esistono però parole che restano fuori dalla vita. Parole che funzionano solo in momenti eccezionali, che non trovano appoggio nei giorni comuni. Quando accade, la parola si consuma rapidamente: non lascia traccia, non trasforma il gesto, non cambia lo sguardo. Rimane un’esperienza isolata, senza continuità.
Lo si riconosce quando una parola continua a tornare, magari senza essere cercata: nel modo in cui si ascolta qualcuno, nel ritmo con cui si attraversa un luogo, nella cura che si mette in ciò che si fa. In questi casi, la parola ha trovato casa. È entrata nella quotidianità non come concetto, ma come postura.
Qui il legame si fa duraturo. La parola non illumina più solo un istante, ma sostiene un modo di vivere. È ciò che resta quando l’esperienza è passata, e continua a operare nel tempo ordinario, con discrezione.
Ti va di condividere una parola che ti ha attraversatə?
A volte una parola arriva nel momento giusto e cambia la qualità di ciò che stiamo vivendo. Non serve che spieghi: basta che resti. Se ti va, raccontami una parola che ti ha attraversatə. Anche solo un frammento.
Verso la parola condivisa
La parola non è solo ciò che diciamo, ma ciò che rende possibile l’incontro. È gesto, ponte, apertura: qualcosa che nasce tra il silenzio e il mondo. Nel Vocabolario Collettivo della Realtà, la parola prende forma a partire dalle esperienze vissute, dalle ferite e dalle promesse che ciascuno porta con sé. Nominare insieme significa riconoscere la forza che le parole hanno nel creare legami e orientare il reale.
La seguente definizione è stata possibile grazie ai contributi di Patrick, Rosa, Gabriela, Fabio, Barbara, Milena, Luca, Cristina e Fabio, a cui va il mio più sentito grazie.
La parola nel Vocabolario Collettivo della Realtà
La parola è uno strumento potentissimo: può dare slancio al giorno o spezzarlo, può portare gioia oppure ferire fino in fondo. È un gesto minuscolo che pesa come un destino. È la sostanza di ciò che diciamo e, a volte, di ciò che riusciamo solo a sfiorare: quando non la troviamo, resta un vuoto che cerchiamo di colmare con il fare, con il corpo che tenta di dire ciò che la voce non riesce ad esprimere.
La parola è un ponte: mette in contatto il nostro universo interiore con il mondo materiale, trasforma il pensiero in forma, la sensazione in incontro. È suono che diventa relazione, il massimo impulso vitale tra noi e l’altro. Prima dei gesti, prima dei concetti, prima dei ricordi: è la regina che apre ogni origine. Da lei cominciano le emozioni, le immagini, le connessioni che tengono insieme il vivente.
Nella parola abita un’energia creatrice. Ciò che diciamo plasma la realtà che attraversiamo: siamo fatti anche delle parole che pronunciamo più spesso, dei significati che scegliamo di evocare, delle storie che ripetiamo. Ogni parola porta con sé un’antica memoria — un’etimologia, un’origine, una ferita, una promessa — e riconoscerla permette di usarla con consapevolezza, come bussola che orienta la vita.
La parola è anche identità: rivela chi siamo e il mondo che creiamo intorno a noi. È specchio che ci riflette e soglia che ci espone. Un dono che può aprire o chiudere, costruire o distruggere, generare intimità o smarrimento. In alcuni momenti diventa un traguardo stampato su un diploma, il simbolo di un percorso che prende forma; in altri si fa assenza, mancanza, ricerca faticosa di un’espressione che ancora non arriva.
Eppure la parola, nel suo mistero, resta sempre possibilità: un atto di scelta e di attenzione, un filo che attraversa la distanza e la rende incontro. È ciò che vive tra il silenzio e il respiro, tra l’interno e il mondo. È tutto e niente: fragile come un soffio, immensa come ciò che consente di dire.
In ogni parola abita un inizio.
The Funky Room Shop Bellinzona: un luogo che accoglie istanti
Negli ultimi mesi, alcune forme nate dall’Arte del Sogliare hanno trovato casa anche fuori dai luoghi abituali. È così che è nata la collaborazione con The Funky Room Shop di Bellinzona: uno spazio attento e curioso, capace di accogliere oggetti da abitare più che da osservare.
Qui si possono incontrare le Sfere del tempo, istanti colti e da cogliere, il Kit dei desideri dorati, la piccola mappa dell’Arte del Sogliare e le fasce tratte dai miei dipinti. Oggetti diversi, uniti dalla stessa intenzione: portare nel quotidiano un gesto di attenzione e di relazione.
Anche questo è un modo di far circolare la parola e l’istante: lasciarli andare, perché possano continuare a lavorare altrove, nei tempi di chi li accoglie.
A Chesa Altrova, la parola non è solo custodita: può essere vissuta. È nelle frasi lasciate, nei nomi dati agli istanti, nelle parole annotate senza sapere per chi. Ogni parola diventa una traccia che resta.
Chi soggiorna a Chesa Altrova entra in un campo di ascolto. La casa è una base da cui prendersi tempo per nominare ciò che accade: cogliere istanti, dare forma alle percezioni, scovare geografie simboliche nel quotidiano.
Per chi lo desidera, il soggiorno può diventare un percorso accompagnato di Arte del Sogliare: un lavoro di attenzione e presenza in cui l’esperienza trova un nome senza essere forzata. A Chesa Altrova, la parola diventa così ospitalità: accoglie, custodisce e rimette in circolo. Se senti risuonare in te questo percorso, o se è arrivato il momento di abitare la parola, fosse anche il silenzio:
Il cammino su Instagram dell’ultimo mese
Tra la metà di novembre e l’inizio di dicembre, il percorso ha rallentato. L’attenzione si è posata sui dettagli minimi del reale, piccoli accadimenti capaci di indicare una postura, prima ancora di un senso.
Con l’arrivo di dicembre, questo ascolto ha preso la forma di un Calendario dell’Avvento degli Istanti: non un gesto quotidiano imposto, ma una pratica lasciata accadere. Istanti colti quando si presentano, nati dall’osservazione, dal silenzio e dall’ascolto di istanti altrui. Ogni testo come una finestrella aperta sul reale.
In questo tempo, ho aperto sessioni individuali di “Soglia il tuo istante” (gratuite fino al 24 dicembre, se vuoi partecipare scrivimi): incontri brevi per ascoltare un momento vissuto, seguirne l’eco e condensarlo in una parola-immagine, un gesto, un seme. Da alcuni di questi incontri sono nati istanti restituiti al mondo, come forme condivisibili di esperienza.
Nel loro insieme, questi passaggi hanno tracciato un movimento comune: un’attenzione rivolta a ciò che appare piano e chiede di essere nominato con cura. Un allenamento alla presenza, in cui la parola non spiega, ma dà forma a ciò che il reale ha già mostrato.
Nel cuore di ciò che resta
Ogni newsletter è un cammino fatto di parole, immagini e presenze. Questa volta abbiamo attraversato la parola: non come strumento da usare, ma come gesto da abitare. L’abbiamo incontrata nello spazio, nel tempo, nel corpo, nei gesti e nella quotidianità, riconoscendo quanto ogni parola modifichi il modo in cui stiamo al mondo.
Nel cammino dell’Arte del Sogliare, la parola non arriva per spiegare, ma per prendersi cura di ciò che è apparso. È un atto di attenzione che rende l’esperienza condivisibile senza impoverirla, un modo di dare forma al reale lasciando che la luce lo attraversi. La parola, quando nasce dall’ascolto, non chiude: mantiene aperto.
Abbiamo visto che una parola può creare spazio o restringerlo, accordarsi al tempo o forzarlo, diventare gesto affidabile o restare vuota, risuonare nel corpo o irrigidirlo, entrare nella vita quotidiana o dissolversi. In questo senso, ogni parola è una responsabilità: un modo di stare in relazione con ciò che incontriamo.
Alla fine, ciò che resta non è una definizione, ma una postura. Un’attenzione più sottile a come diciamo, a quando diciamo, e a ciò che scegliamo di nominare. Perché è anche attraverso le parole che impariamo ad abitare il mondo.
Ci ritroveremo tra un mese, se vorrai, attorno a una nuova parola. Un’altra soglia, un altro gesto di cura.
Lieti momenti
Giada
Il prossimo 13 gennaio sarà dedicato a LA CURA
Ogni parola è una soglia, ma la cura è forse la più quotidiana e la più fragile. Non si annuncia, non si impone: accade. È un gesto che si ripete, un’attenzione che torna, una presenza che sceglie di restare. Nell’Arte del Sogliare, la cura non è un sentimento astratto, ma una pratica che tiene insieme il mondo, istante dopo istante.
Curare significa rispondere. Al luogo in cui siamo, al tempo che stiamo attraversando, all’altro che ci viene incontro, anche quando non chiede nulla. È un modo di esserci davvero: con il corpo, con lo sguardo, con i gesti minimi che non fanno rumore ma mantengono vivo il legame.
Nel mio lavoro, la cura vive nella raccolta degli istanti, nell’attenzione al dettaglio, nel rispetto dei luoghi e delle persone, nella responsabilità verso ciò che viene affidato al tempo. È ciò che permette al reale di non andare in frantumi, ma di continuare a respirare. Un atto semplice e insieme radicale: prendersi a cuore ciò che c’è.
Nel prossimo numero esploreremo la cura come gesto di soglia, come pratica che rigenera, come attenzione che restituisce senso al quotidiano.
Ti va di contribuire? Scrivimi cos’è per te la cura: info@giada.ch o DM su Instagram o Facebook. Con le testimonianze costruiremo insieme la forma collettiva di “Cura”.
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Le parole che abitano questa pagina restano aperte: puoi tornarci, riprenderle, lasciarle lavorare nel tempo. E se qualcosa ha risuonato, se senti il desiderio di continuare il cammino o di attraversarlo insieme:
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