Momenti sospesi

FotoLagoMomentiSospesiWeb.jpg

Dicono che a ogni essere umano sia destinato un piacere che si tramuterà in tormento; a me sono toccati i momenti sospesi. Il primo che mi capitò di incontrare fu attorno ai quindici anni. Era estate. Mi trovavo in giardino all’ombra di un ciliegio a leggere una rivista, quando improvvisamente venni risucchiata verso l’alto. Sotto di me apparve un’imponente foresta di conifere da cui udivo provenire cinguettii, zoccoli che si muovevano sul terreno ricoperto da aghi di pino, fischi di marmotte in allerta e qualche colpo dato alla corteccia. Il profumo di resina giunse fin lassù, accompagnato dall’odore di selvaggina che mi fece ricordare il sapore del sangue, ed ebbi subito fame. D’altronde quel giorno mi ero alzata in volo per andare a caccia, non per sfogliare riviste e leggere pubblicità. Bastò questo pensiero per riportarmi in giardino dove passai il resto della mattinata seduta al sole, visto che l’ombra ormai non c’era più. 

Cos’era accaduto? Gli anni seguenti provai a capire senza riuscirci mai. La seconda esperienza mi sorprese per le strade della città, mentre stavo osservando l’esposizione di pasticcini di una confiserie. Me ne accorsi dall’odore salmastro; mare? Impossibile, mi trovavo a chilometri di distanza. Ne cercai il motivo quando i piedi iniziarono a sprofondare nella sabbia: sorrisi. Eccolo, dopo tanto aspettare stava di nuovo accadendo. Nella vetrina vidi il mio riflesso dietro cui si aprì un orizzonte marittimo. Sentii il rumore delle onde e l’acqua bagnarmi il vestito. Volevo chiudere gli occhi per meglio godermi l’istante ma avevo timore potesse svanire, e fu un errore. “Signora desidera?”. La commessa era uscita in strada, probabilmente non gradiva sostassi così a lungo davanti ai suoi dolciumi. “Servite anche del whisky?” le risposi. Passai il resto del pomeriggio seduta in quel locale a osservare il mare, anche se ormai non lo vedevo più.

Dunque i momenti sospesi esistevano davvero, ma dove si trovavano, come raggiungerli o crearli? Nel corso della vita ci passai accanto diverse volte; allungavo la mano cercando di afferrarli ma dovevo accontentarmi di sentirne il lembo scivolare via, fino al giorno in cui loro tornarono a cogliere me. Era notte fonda. Vista l’età dormire era ormai diventato un lusso, così uscivo a passeggiare. Giunta vicino al lago mi accorsi che qualcuno mi stava abbracciando. Naturalmente non lo vidi, ma sentii il cappotto ruvido sfiorarmi la guancia; portava il dopobarba e la sua anima sapeva di terra, quando sussurrò “va bene così”. In quell’istante divenni occhio di falco, bramito di cervo, fuga di lepre, morso, sangue, succo di ciliegia e marea. Mi abbandonai a quel rassicurante ed eterno abbraccio, e non tornai mai più.

Testo pubblicato sull’Almanacco del Grigioni Italiano 2019.